A MINEO SI RESPIRAVA LA POESIA

 

 

 

 

 

La Sicilia - 23 marzo 2009

 

Ho intervistato lo scrittore per realizzare il documentario "Bonaviri ritratto". Ecco alcune delle sue risposte.

- Come nasce lo scrittore Bonaviri?
"Tu sai che Mineo era un paese ricco di poeti vernacoli, c'era la pietra della poesia a Camuti, quindi sin da bambino il sogno mio era quello di diventare il poeta più importante di Mineo. Sino a venticinque anni non mi sono mai mosso dalla Sicilia, per cui il primo contatto col mondo letterario l'ho avuto con l'Einaudi. Vittorini aveva in mano la collana dei Gettoni e gli piacque molto Il sarto della stradalunga. Quando l'ho incontrato, a Bocca di Magra, pensava addirittura che io ero un operaio anziché un medico, cioè il nostro è stato un rapporto estremamente pulito".
- Il sarto della stradalunga è ispirato alla figura di tuo padre.
"Mio padre da giovane faceva il sarto a Mineo, ma purtroppo non fu fortunato nel suo lavoro e nel 1938 fu costretto ad emigrare in Abissinia a causa delle tasse eccessive. Scriveva anche poesie molto belle, con una certa capacità di narrazione del mondo, ma le scriveva segretamente, di notte, perché era un uomo schivo, timido".
- Quali sono stati i tuoi modelli letterari?
"La mia formazione infantile resta pre-libresca. Poeti contadini e vento di Mineo, fiabe raccontatemi da mia madre... quale miglior libro?"
- Come mai hai scelto, nonostante il tuo grande amore per la Sicilia, di vivere a Frosinone?
"Mia moglie, che è di Marcianise in provincia di Caserta, ebbe l'incarico di dirigere una colonia estiva a Mineo, mentre io fui incaricato di fare il medico della colonia. Dopo esserci sposati ci trasferimmo a Frosinone perché avevo vinto il concorso di assistente ospedaliero".
- Come mai studiasti medicina e non lettere?
"Mi iscrissi in medicina per quell'ansia di ricerca tipica dello scorso secolo. Del resto per me scrivere è anche sperimentare".
- Come riuscivi a conciliare il lavoro di medico e la tua intensa attività letteraria?
"Era una vita affannosa, non gradevole, un continuo corricorri. La mattina lavoravo alla mutua, per la letteratura mi restava il pomeriggio. Talvolta mi capitava di scrivere o di leggere tra una visita e l'altra...".
- Le tue pagine hanno i colori dell'estate. Esiste un periodo dell'anno in cui scrivi meglio?
"L'estate mi dà più stimoli, è la mia stagione, forse perché sono nato in luglio".
- Tu ti sei sempre tenuto ai margini della società letteraria italiana. Negli anni settanta hai perfino rifiutato il premio Campiello per il romanzo Dolcissimo.
"Si sapeva prima chi sarebbe stato il vincitore del superpremio finale.
Valgono di più i soldi di un premio o il nostro no diretto contro un sistema di
corruzione?"
- Che te ne sembra della letteratura di oggi?
"Attualmente siamo purtroppo in una fase filoamericana, cioè più libri si vendono più l'autore è considerato importante. Si tratta di un grosso errore, anche perché spesso il lettore si trova tra le mani dei libri di una mediocrità assoluta".
- Non ami i bestseller...
"Sono fenomeni che sono sempre esistiti. Pensa per esempio all'Ettore Fieramosca di Massimo D'Azeglio, a Le mie prigioni di Silvio Pellico. Ormai per la nostra cultura sono ombre".
- Una domanda sul Bonaviri privato. Come uomo godi fama di eccentrico.
"Se essere solitari... significa essere strani, lo sono".
- Ci sono libri che non hai avuto ancora il tempo di scrivere?
"Ho ancora tanti pozzi di memorie, soprattutto dell'infanzia e dell'adolescenza. Bisognerebbe scrivere per secoli e secoli...".
- Che idea ti sei fatto del dopo?
"Siamo nel campo dell'incognito, la vita è un mistero. Tutto lascia pensare, secondo le nostre vedute biologiche (che potrebbero essere errate) che tutto finisce con la fine del nostro corpo biologico. Probabilmente, chiudendosi l'assillo di fuoco della nostra vita, si arriva nel vuoto spazio dove tutto è nulla e dove il nulla forse è il Tutto, ovvero il Dio che cerchiamo".

 

 

 

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