ANTONIO PENNACCHI, UNO SCRITTORE MAI GRATUITAMENTE LETTERARIO

  

 

 

 

 

Huffington Post - 28 novembre 2020

  

Antonio Pennacchi è un personaggio sfizioso: prima fascista, poi comunista, oggi boh, sempre veemente, sempre polemico con la realtà, sempre autoironico. Pennacchi sa trasporre il suo personaggio nella pagina letteraria, creando un io narrante che spesso diverte, talvolta irrita, sempre avvince.
Pennacchi sa di cosa parla. Il suo orizzonte narrativo è circoscritto: la fabbrica, le passioni politiche novecentesche, le città fondate da Benito Mussolini, la storia di Latina intrecciata a quella della sua famiglia. Pennacchi è uno scrittore antiaccademico, mai gratuitamente letterario, un prosatore tutto arrosto e niente fumo che mescola italiano e dialetto senza strafare.
Basta aprire il nuovo romanzo La strada del mare, pubblicato da Mondadori, per venire trascinati a forza nel mondo di Pennacchi: un’agghiacciante premonizione («M’agò inzognà un manto nero, Benassi»), la morte di un figlio, i differenti modi di elaborare il dolore e via di corsa dentro cinquecento pagine di vita della famiglia Peruzzi, la stessa di Canale Mussolini, attraversando i loro anni cinquanta. Lo stile di Pennacchi è inconfondibile: il brio, gli scatti nervosi, il respiro epico, certe forzature della verosimiglianza, l’ossessione dell’attualità sociale e politica.
Classe 1950, operaio di professione, negli anni novanta Pennacchi finì in cassa integrazione. Si iscrisse all’università La Sapienza di Roma, laureandosi in letteratura italiana con una tesi su Benedetto Croce. Quando lessi le pagine dei ringraziamenti di Canale Mussolini, mi commossero le parole dedicate al suo professore Mario Scotti, finissimo italianista di cui fui allievo negli stessi anni di Pennacchi. Un lampo! Ricordai che a lezione, certe volte, si alzava un eccentrico studente sulla quarantina per fare al professore Scotti delle colte ma capziose domande. Noi altri, divertiti, ci davamo di gomito. Scotti, uomo di mondo, sorrideva sornione e con sagacia rimetteva in riga il malizioso scolaro. Un giorno gli disse: «Lei era marxista, poi mi è diventato crociano…».
Le date potrebbero collimare ma la memoria, si sa, è fallibile. Facciamo che quel tizio non era Antonio Pennacchi, era uno che gli somigliava. Oppure era il suo spirito rimasto dentro quell’aula accademica come permanente necessità di contraddizione.

 

 

 

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