BONAVIRI CONTROVENTO

 

 

 

 

 

Letteratitudine - 21 marzo 2009

 

1800 Flowers International - 15 settembre 2011

 

Pubblicato nel libro "Letteratitudine - Il libro (Vol. II, 2008-11)" (Historica - 2012)

 

Pubblicato con varianti nel libro "La letteratura e il sacro - Vol. V" (BastogiLibri - 2017) 


Tutto comincia da Mineo. In questo piccolo paese siciliano Giuseppe Bonaviri era nato nel 1924 e proprio Mineo è il centro dell’universo letterario dello scrittore.

Dopo la precoce rivelazione della sua vena poetica, nel 1938 si trasferì a Catania dove conseguì la maturità classica e si laureò in medicina. Nel 1954, scoperto da Elio Vittorini, Einaudi pubblicò Il sarto della stradalunga. Seguirono una trentina di volumi tra narrativa, poesia, teatro e saggistica. Nonostante il grande amore per la Sicilia, dal 1958 visse a Frosinone esercitando la professione di medico. Sposato con Lina, ebbe due figli e quattro nipoti.

 

Bonaviri è uno scrittore complesso. In un certo senso è il tipo di autore che riscrive sempre lo stesso libro, in un certo senso è un artista dai volti numerosi.

C’è Bonaviri lo scrittore moderno. Bonaviri il nuovista, lo sperimentatore, il romanziere che si diverte a  giocare con i codici narrativi.

C’è l’affabulatore bizzarro che inframmezza con notazioni stralunate e con nonsense le considerazioni filosofiche dei suoi personaggi. Un’ironia novecentesca, la sua, che da un lato alleggerisce il testo rendendolo più divertente, dall’altro lo complica aprendo la porta a non univoche interpretazioni.

C’è l’uomo contemporaneo curioso della scienza che verrà e c’è il custode della memoria familiare, ossessionato dai ricordi che chiedono di essere trasfigurati in simboli letterari.

C’è il realista magico, il narratore funambolico, il poeta immaginoso…

C’è Bonaviri il siciliano, figlio di una generazione eccezionale: quella di Leonardo Sciascia, di Bartolo Cattafi, di Stefano D’Arrigo, di Angelo Maria Ripellino, di Sebastiano Addamo,  di Gesualdo Bufalino… Bonaviri siciliano fino al midollo che come tutti gli scrittori isolani sembra condannato dalla propria terra madre a parlare ininterrottamente di lei.

C’è il Bonaviri dormivegliante. In molte narrazioni, come nel dormiveglia da lui studiato e fantasiosamente romanzato, c’è una realtà riconoscibile i cui contorni progressivamente tendono a farsi  malcerti. Ci ritroviamo così in quella dimensione a mezza via tra sogno e veglia nella quale le visioni compaiono capricciosamente  e repentinamente svaniscono per lasciare posto ad altre visioni…

C’è il Bonaviri nostalgico del tempo che fu, del piccolo mondo paesano nel quale aveva trascorso l’infanzia, della sapienza popolare che rendeva quel mondo umanamente ricco. Come gran parte degli scrittori moderni Bonaviri è in qualche modo un critico della modernità, di questo stadio della modernità. Il suo rievocare la dimensione mitica della Mineo contadina, con gli artigiani filosofi e ogni cosa intrisa di spiritualità, svolge una funzione critica nei confronti del presente fighetto e materialista. Il suo proclamare divina la natura si contrappone a certi abusi della scienza contemporanea nei confronti di essa. 

E poi c’era l’uomo. Bonaviri l’eccentrico, il timido, il solitario. Il malinconico dai lunghi silenzi interrotti da scoppi di umorismo lunare. Il collezionista di libri rari, il nonno affettuoso, il provinciale cosmopolita… Bonaviri visse a lungo autoesiliato nella bella casa di Frosinone che lasciava malvolentieri, restìo alle frequentazioni mondane. Uno stile di vita, il suo, poco adatto all’era degli uffici stampa e della vita pubblicitaria. 

 

L’intervista che segue, realizzata nel 2006 per il documentario Bonaviri ritratto, è stata ampliata con brani di interviste che mi aveva rilasciato precedentemente.

 

Perrotta   Come nasce lo scrittore Bonaviri?

Bonaviri   Tu sai che Mineo era un paese ricco di poeti vernacoli, c’era la pietra della poesia a Camuti, quindi sin da bambino il sogno mio era quello di diventare il poeta più importante di Mineo. A quattordici anni già scrivevo tre romanzi e ogni anno cercavo di fare tutti gli esami all’università specialmente per avere il tempo necessario per leggere e scrivere romanzi durante le vacanze. Ma il dato fondamentale, secondo me, resta uno: io sino a venticinque anni sono stato sempre in Sicilia, non mi sono mai mosso dalla Sicilia, per cui il primo contatto col mondo letterario importante l’ho avuto con l’Einaudi e con Elio Vittorini. Vittorini aveva in mano la collana dei Gettoni e gli piacque molto Il sarto della stradalunga. Pensa che quando l’ho incontrato, perché mi scrisse, a Bocca di Magra, pensava addirittura che io ero un operaio anziché un medico, cioè il nostro è stato un rapporto estremamente pulito.

Il sarto della stradalunga, che uscì nel cinquantaquattro ma era stato scritto nel cinquantuno, ebbe un buon successo critico: ricordo le recensioni di Tommaso Fiore, di Gaetano Trombatore… Insomma, questo giovane siciliano che non era mai uscito per  venticinque anni dalla Sicilia riuscì a immettersi con facilità nel giro dei maggiori letterati del tempo. Dopo l’Einaudi i miei libri sono usciti con la Rizzoli, con la Mondadori, con la Sellerio.

 

Perrotta   Il sarto della stradalunga è ispirato alla figura di tuo padre, Settimo Emanuele detto Don Nanè.

Bonaviri   Mio padre da giovane faceva il sarto a Mineo nella stradalunga, ma purtroppo non fu fortunato nel suo lavoro e nel 1938 fu costretto ad emigrare in Abissinia a causa delle tasse eccessive. Scriveva anche poesie molto belle, con una certa capacità di narrazione del mondo,  ma le scriveva segretamente, di notte, perché era un uomo schivo, timido. Quando mia madre si metteva a letto e lo vedeva scrivere al lume del petrolio si chiedeva preoccupata: «Ma chi ho sposato, un pazzo?». Quando è morto ho trovato molte cartelle delle tasse sul cui retro aveva scritto delle poesie. Ho raccolto tutte quelle che ho trovato in un volumetto dal titolo L’arcano. Se ne trova una copia alla Biblioteca Nazionale di Roma.

Una delle sue poesie più belle parla della notte a Mineo. Allora l’illuminazione era fatta con pochi lampioncini per cui il paese verso le sei o le sette sprofondava nel buio. Quello che segnava l’arco del giorno, direi un limite quasi spirituale, spiritico, era la mezzanotte che era annunciata da cento colpi di campana. Ti cito alcuni versi: «Terribile la notte / oscura ed infinita; / mentre l’orologio batte / l’ora piu sciagurata».

 

Perrotta   Parliamo di Mineo, tuo paese natale e centro della tua opera.

Bonaviri   La formazione spirituale di ogni uomo è compiuta per le linee essenziali già a dieci/dodici anni, si è stati come insemenzati. Mineo ha lasciato dentro di me molti semi di memoria.

Il paese ha una lunga storia che rimonta a Ducezio. Io ho conosciuto la Mineo di settant’anni fa, una cittadina molto povera ma umanamente ricca. La ricchezza maggiore consisteva nei proverbi e nella sapienza innata dei contadini. Molti di questi avevano una propensione alla filosofia e scrivevano poesie dialettali.

 

Perrotta   A Camuti, dove con la tua famiglia andavate a villeggiare e dove secondo la leggenda c’era la pietra della poesia, ogni anno aveva luogo un importante raduno di poeti dialettali.

Bonaviri   Fino al 1850, sull’altopiano di Camuti, si facevano delle gare poetiche che poi con l’unità d’Italia sono scomparse. Mentre le gare satiriche in piazza contro i partiti, contro il fascismo, si continuarono a fare fino al 1925 circa.

 

Perrotta   La Mineo della tua infanzia era un paese povero.

Bonaviri   Ricordo un paese senz’acqua dove si mangiava pane e pane, un paese in cui gli uccelli volavano, specialmente gli sparvieri, sui monti… Ricordo il verde, le campagne, le fave, il grano… Ma anche l’estrema povertà e le condizioni igieniche molto difettose.

 

Perrotta   Nonostante il grande amore per la Sicilia, da cinquant’anni vivi in Ciociaria. Come mai hai scelto di vivere qui a Frosinone?

Bonaviri   Mia moglie, che è di Marcianise in provincia di Caserta, ebbe l’incarico di dirigere una colonia estiva a Mineo, mentre io fui incaricato di fare il medico della colonia. Dopo esserci sposati ci trasferimmo a Frosinone perché avevo vinto il concorso di assistente ospedaliero. Allora c’era la divisione dei proventi: un primario prendeva il cinquanta per cento e l’assistente il sei per cento, figurati… È stata una vita piuttosto misera. Ho fatto sei anni di vita terribile, con guardie di trenta ore tre volte la settimana; poi, per la morte improvvisa di mio padre e per il mio grosso esaurimento nervoso, abbandonai l’ospedale ed entrai nell’Unità Sanitaria Locale. Ci sono rimasto trent’anni. Pensa che all’Unità Sanitaria Locale eravamo considerati dei lavoratori autonomi esterni e quindi non ho neppure diritto alla pensione.

 

Perrotta   Com’è vivere a Frosinone? Per il poco che l’ho visitata non mi ha colpito particolarmente.

Bonaviri   Frosinone è una cittadina a suo modo cosmopolita, ricca a livello agricolo e con un certo sviluppo industriale. Ma letterariamente non è molto sviluppata.

 

Perrotta   Tu vivi in una zona periferica della città.

Bonaviri   Ho vissuto sempre nella zona periferica di Frosinone perché mi ricordava un po’ la libertà dell’infanzia a Mineo.

 

Perrotta   In cosa differisce il paesaggio ciociaro da quello siciliano?

Bonaviri   Beh, il paesaggio qua è più ricco, più arboreizzato. Quello siciliano è un paesaggio secco, asciutto, pietroso.

Qua in Ciociaria i contadini, nei loro piccoli campi, hanno sempre accresciuto gli alberi, hanno accresciuto quella che è la civiltà della casa. Anche perché è una zona più ricca.

 

Perrotta   Come mai scegliesti di studiare medicina e non lettere?

Bonaviri   Verso i sedici anni sognavo di diventare uno scienziato biologico, ma purtroppo eravamo in piena guerra e miseria. Mi iscrissi in medicina per quell’ansia di ricerca tipica dello scorso secolo.

Del resto per me scrivere è anche sperimentare.

 

Perrotta   Come riuscivi a conciliare il lavoro di medico e la tua intensa attività letteraria?

Bonaviri   Era una vita affannosa, non gradevole, un continuo corricorri. La mattina lavoravo alla mutua, per la letteratura mi restava il pomeriggio. Talvolta mi capitava di scrivere o di leggere tra una visita e l’altra…

 

Perrotta   Veniamo ai tuoi libri. Come li presenteresti a chi non ti ha mai letto?

Bonaviri   I miei romanzi spaziano dal dato realistico al dato fantastico, dalla cultura mediterranea alla scienza medica della quale uso spesso molti termini cercando di renderli quanto più poetici possibile.

 

Perrotta   C’è qualcuno dei tuoi libri che ritieni più rappresentativo?

Bonaviri   I libri sono come i figli: di mamma tutti. Ognuno ha la sua storia, o pubblica o segreta.

 

Perrotta   Diversi critici hanno lodato la coerenza della tua opera. A te, dall’alto dei tuoi ottant’anni, come appare?

Bonaviri   Sento l’insieme delle mie cose come un tappeto persiano in cui fili e segni e intrecci si toccano, si distaccano, si ritoccano…

 

Perrotta   Mi piacerebbe tentare un’incursione nel tuo laboratorio creativo. Come nasce un tuo libro?

Bonaviri   Ogni libro ha una storia a sé. Può essere un nucleo di memorie che via via s’ingrandisce e diventa poi anche tela linguistica, può essere una cosa immediata che mi viene chiesta, può sorgere dal semplice desiderio di scrivere.

 

Perrotta   Come nascono i tuoi titoli così suggestivi?

Bonaviri   A volte spuntano da soli, a volte bisogna scegliere fra titoli diversi. Predomina la mutevolezza.

 

Perrotta   Le tue pagine hanno i colori dell’estate. Esiste un periodo dell’anno in cui scrivi meglio?

Bonaviri   L’estate mi dà più stimoli, è la mia stagione, forse perché sono nato in luglio.

 

Perrotta   Nella tua opera la dimensione del viaggio è centrale. E nella vita?

Bonaviri   Ti confesso che non amo molto viaggiare. Sono e resto un contadino con l’idea d’un punto fermo: il centro, la casa, il paese. Comunque dopo i cinquantacinque anni ho viaggiato molto.

 

Perrotta   Uno dei temi a te cari è la famiglia.

Bonaviri   Mio padre era il primo di sette figli, mia madre era l’ultima di ventiquattro fratelli: queste enormi famiglie tuttora me le porto dentro come un muro che ti circonda, che t’abbraccia. Cioè vorrei quasi  incarnare in me tutto questo mondo di parenti e farlo diventare carne della mia carne e sangue del mio sangue.

 

Perrotta   Sei molto legato anche ai tuoi nipotini.

Bonaviri   Gianluigi, Niccolò, Leopoldo e Raffaella per me hanno una grande importanza. In quasi tutti questi ultimi libri scritti sono presenti loro, anzi nel Vicolo blu addirittura li trasporto nel tempo come se fossero vissuti durante la mia infanzia e fossero miei compagni di giochi.

 

Perrotta   Un altro tema ricorrente è la morte.

Bonaviri   La morte è un’idea ossessiva universale. Poi, io facevo il medico…

 

Perrotta   A tuo avviso qual è, se c’è, la missione o la funzione dello scrittore?

Bonaviri   Scrivere è un lavoro come un altro, forse più meditato e coordinato e per il quale necessitano fattori predisposizionali. Secondo me le predisposizioni che noi abbiamo verso il mondo e verso noi stessi vengono trasmesse per via di DNA, cioè quell’elemento che si trova nelle cellule e che trasmette i fattori dell’ereditarietà. Oggi si pensa per lo più che la cultura sia un’elaborazione successiva al nostro sviluppo mentale, secondo me invece la base di fondo è e resta cromosomica.

 

Perrotta   Tu ti sei sempre tenuto ai margini della società letteraria italiana. Negli anni settanta hai perfino rifiutato il premio Campiello per il romanzo Dolcissimo.

Bonaviri   Si sapeva prima chi sarebbe stato il vincitore del superpremio finale. Valgono di più i soldi di un premio o il nostro no diretto contro un sistema di corruzione?

 

Perrotta   Insomma non ami i premi.

Bonaviri   Possono servire in piccolo (il viaggio, gli incontri, un che di liberatorio), ma non fanno storia.

 

Perrotta   Da diversi anni i giornali ti accreditano tra i favoriti al Nöbel…

Bonaviri   Il destino, quello che verrà dopo, è nelle ginocchia di Giove.

 

Perrotta   Quali sono stati i tuoi modelli letterari?

Bonaviri   La mia formazione infantile resta pre-libresca. Poeti contadini e vento di Mineo, fiabe raccontatemi da mia madre… quale miglior libro?

 

Perrotta   Dimmi allora quali sono i tuoi classici.

Bonaviri   Beh, a me affascinano i frammenti dei filosofi presocratici, quella è la massima espressione della cultura mediterranea. Poi tutto il filone della drammaturgia greca da Eschilo a Euripide. Tra gli italiani Leopardi, Pascoli, Gozzano.

 

Perrotta   Che te ne sembra della letteratura di oggi?

Bonaviri   Attualmente siamo purtroppo in una fase “filoamericana”, cioè più libri si vendono più l’autore è considerato importante. Si tratta di un grosso errore, anche perché spesso il lettore si trova tra le mani dei libri di una mediocrità assoluta.

 

Perrotta   Non ami i bestseller…

Bonaviri   Sono fenomeni che sono sempre esistiti. Pensa per esempio all’Ettore Fieramosca di Massimo D’Azeglio, a Le mie prigioni di Silvio Pellico. Ormai per la nostra cultura sono ombre.

 

Perrotta   Tu sei stato amico di diversi scrittori siciliani della tua generazione, penso a Leonardo Sciascia o a Sebastiano Addamo, ma più volte hai affermato di sentirti estraneo al filone della letteratura siciliana.

Bonaviri   Beh, Leonardo Sciascia è uno scrittore civile, io sono un affabulatore. Tra me e Giovanni Verga ci sono di mezzo millenni, il suo mondo era assolutamente diverso da quello che abbiamo vissuto noi. In quest’ultimo cinquantennio s’è aperta una nuova fase storica per l’umanità: abbiamo messo il piede sulla luna, abbiamo scoperto un universo concreto fatto di astri che poi sono praticamente come la terra, grandi ammassi di pietre e di sostanze come metano, gas e così via. Quindi abbiamo allargato la nostra visione a una visione cosmica dalla quale non ci dovremmo allontanare, una visione secondo la quale l’uomo è una cellula ma è una cellula importante in quanto con la sua intelligenza riesce a entrare nei misteri del mondo.

 

Perrotta   La scienza oggi è ancora una speranza o è diventata anche una paura?

Bonaviri   La scienza per l’uomo comune è una paura, è una grande paura, perché se non è usata bene può causare dei disastri enormi, com’è successo con la bomba atomica. Nel mio romanzo L’incredibile storia di un cranio, uscito con Sellerio, questo aspetto viene preso in considerazione.

 

Perrotta   Parliamo dei tuoi estimatori illustri, cominciando da Italo Calvino.

Bonaviri   Di Calvino conservo molte belle lettere. A lui piacquero immensamente Il fiume di pietra, La divina foresta, Notti sull’altura… Altri estimatori sono stati Andrea Zanzotto, Carlo Betocchi, Mario Luzi, Libero de Libero… Tra gli stranieri ricordo il francese Guy Tosi, che insegnava alla Sorbona e via via tanti altri: in Russia, nella Repubblica Ceca, in Tunisia…

 

Perrotta   So che hai conosciuto Federico Fellini.

Bonaviri   Con Fellini ero in buoni rapporti, scambiammo qualche lettera, però il solo fatto di dover andare la sera a Roma a cena per me diventa un dramma. Per me è un dramma uscire fuori Frosinone, uscire dall’utero materno, dunque a un bel momento i rapporti sono caduti.

 

Perrotta   Un film di Fellini tratto da un romanzo di Bonaviri non sarebbe stata una cattiva idea.

Bonaviri   Per fare i suoi film Fellini aveva dei soggetti preferiti e incontrava anche difficoltà, sebbene fosse un grande regista cinematografico, a trovare i fondi.

 

Perrotta   Mi racconti della collaborazione col compositore Ennio Morricone? Insieme, nel 2001, avete scritto l’opera Ode in occasione dell’inaugurazione della nuova sede del Conservatorio di Frosinone.

Bonaviri   Ennio Morricone è una gran brava persona. Mi fu proposto dal senatore Massimo Struffi e dal direttore del Conservatorio di Frosinone di fare un poemetto sulla Ciociaria che sarebbe stato musicato da Morricone, cosa che avvenne. Solo che l’esecuzione, all’aperto, fu fatta in un giorno che c’era vento per cui Morricone non fu soddisfatto della registrazione e, tranne la copia che ho io, di quest’opera non c’è purtroppo altro documento.

 

Perrotta   Quali pittori contemporanei hai amato?

Bonaviri   Per quanto riguarda la pittura ho apprezzato diversi artisti, non so, Franco Gentilini o Corrado Cagli, ma rapporti personali non ne ho avuti.

 

Perrotta   Bonaviri e la politica. Si sa che da giovane sei stato antifascista e comunista.

Bonaviri   Al ginnasio scrivevo temi antifascisti. Non perché fossi un antifascista convinto… era una specie di ribellismo, leggendo che Mussolini aveva sempre ragione o «Credere, obbedire, combattere!» mi disturbai e quindi scrivevo temi antifascisti. In quarta ginnasiale fui  rimandato ad ottobre, feci un bel tema e da allora in poi capii che la politica non bisognava toccarla.

Dopo la liberazione fui comunista: fui iscritto al movimento giovanile e al Partito Comunista per molti anni.

 

Perrotta   Collaboravi all’Unità.

Bonaviri   A Gaetano Trombatore piacque molto Il sarto della stradalunga e m’invitò a collaborare all’Unità. Ho collaborato per quattro o cinque anni alla pagina culturale; in seguito ho collaborato al Messagero, all’Avanti!, al Corriere della Sera  e all’Osservatore Romano. La mia collaborazione giornalistica è molto estesa e poco conosciuta.

 

Perrotta   Anche della tua poesia si parla meno.

Bonaviri   Le mie poesie sono state tradotte in diversi paesi ma dovrebbero essere studiate e approfondite ancora di più perché sono un ramo dello stesso albero. Un ramo forse più vivace, più vivo.

 

Perrotta   Parliamo del Bonaviri privato. Come uomo godi fama di eccentrico.

Bonaviri   Se essere solitari… significa essere strani, lo sono.

 

Perrotta   Molti libri li hai dedicati a tua moglie. Leopardi aveva in Silvia la sua musa, per te Lina cosa ha rappresentato?

Bonaviri   Leopardi guardava la povera ragazza malata Silvia dalla finestra del palazzo… sposarsi, convivere, avere figli è un mondo con reazioni diverse.

 

Perrotta   Ci sono libri che non hai avuto ancora il tempo di scrivere?

Bonaviri   Ho ancora tanti pozzi di memorie, soprattutto dell’infanzia e dell’adolescenza. Bisognerebbe scrivere per secoli e secoli…

 

Perrotta   Che idea ti sei fatto del dopo?

Bonaviri   Siamo nel campo dell’incognito, la vita è un mistero. Tutto lascia pensare, secondo le nostre vedute biologiche (che potrebbero essere errate) che tutto finisce con la fine del nostro corpo biologico. Probabilmente, chiudendosi l’assillo di fuoco della nostra vita, si arriva nel vuoto spazio dove tutto è nulla e dove il nulla forse è il Tutto, ovvero il Dio che cerchiamo.

 

 

 

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