CARRERE, INVESTIGATORE DI ANIME,

IN 'YOGA' PROPONE UN VIAGGIO ALL'INFERNO

 

 

 

 

 

Huffington Post - 19 giugno 2021

 

Nel novecento ebbe largo corso l’idea antiromantica che l’arte fosse impersonale. Secondo tale approccio estetico le opere sono più importanti degli autori. Il rapporto tra opera e biografia dell’autore va dunque considerato problematicamente: nell’opera non parla un singolo uomo, bensì lo spirito dell’arte. Essendo le opere macchine per generare interpretazioni, la chiave di lettura proposta dall’autore sul significato della sua opera è soltanto uno dei punti di vista possibili.
Sul finire del secolo l’italianista Carla Benedetti pubblicò due interessanti saggi che mettevano in discussione tale approccio: Pasolini contro Calvino: per una letteratura impura (Bollati Boringhieri, 1998) e L’ombra lunga dell’autore. Indagine su una figura cancellata (Feltrinelli, 1999). La Benedetti difendeva la figura dell’autore in carne e ossa con argomentazioni intelligenti che però non mi persuasero. Oggi che dilaga una visione volgarmente materialista dell’arte, oggi che l’inquisizione di massa inchioda le opere ai vizi privati dei poveri diavoli che le creano, considerare l’arte impersonale continua a sembrarmi il partito migliore.
Con queste idee in testa ho letto l’ultimo libro dello scrittore francese Emmanuel Carrère, facendo tabula rasa delle polemiche che la sua pubblicazione ha suscitato. Il libro si intitola Yoga e in Italia è stato tradotto da Adelphi.
Carrère è un investigatore di anime e il suo talento affabulatorio è indiscutibile. Yoga propone un viaggio all’inferno: il racconto autobiografico di un uomo partito alla ricerca della saggezza e dell’illuminazione, che invece si inabissa nel malessere psichico. L’opera mi sembra poco riuscita non già perché alcuni fatti narrati non siano reali (la ex moglie lo ha sbugiardato), ma perché la seconda parte del libro risulta artisticamente poco autentica.
Scrive Carrère: «Quando penso alla letteratura, al genere di letteratura che faccio, di una sola cosa sono fermamente convinto: èil luogo in cui non si mente. È un imperativo assoluto, tutto il resto è secondario, e a questo imperativo penso di essermi sempre attenuto. Le cose che scrivo forse sono narcisistiche e vane, ma non sono false». Dal mio punto di vista un’opera di autofiction come Yoga non deve essere giudicata per il suo valore documentale, ma per lo stile e per la qualità del racconto. A me dispiace che a livello narrativo stavolta Carrère non abbia saputo trovare la giusta distanza, che i fatti narrati siano reali o no sono fatti suoi.

 

 

  

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