FLAUBERT E L'OSSESSIONE SPIRITUALE DELLO STILE, IMPENSABILE OGGIGIORNO

 

 

 

 

 

Huffington Post - 11 dicembre 2021

 

Lo scrittore Alberto Moravia, in una intervista televisiva rilasciata a Enzo Siciliano nel 1977, accusava Gustave Flaubert di avere ammazzato il romanzo. Con la sua candida malizia che riusciva a mettere a fuoco il nocciolo delle questioni culturali, Moravia si schierava a favore del romanzo romanzesco alla Honoré de Balzac contro il romanzo ben scritto alla Gustave Flaubert. Per Moravia la bella prosa di Flaubert è addirittura brutta: è monotona, non fa camminare il racconto e tradotta cade a pezzi.
Personalmente considero Flaubert (nato in Francia a Rouen il 12 dicembre 1821, morto a Croissetl’8 maggio 1880) un eccellente narratore e un sopraffino stilista. Lo ammiro perché il suo stile non sembra preesistere alle singole opere, ma pur avendo un tocco inconfondibile varia da romanzo a romanzo adeguandosi al tipo di storia raccontata. Forma e contenuto si specchiano reciprocamente. Nel romanzo realistico Madame Bovary lo stile è descrittivo e psicologico, nel romanzo storico Salammbô lo stile risulta turgido e rutilante, nel romanzo comico Bouvard e Pécuchet Flaubert adotta uno stile dimesso e beffardo. Non si tratta di virtuosismo stilistico, si tratta di organicità espressiva.
La grande lezione stilistica di Flaubert influenzò positivamente alcuni dei massimi artisti novecenteschi. Ritratto dell’artista da giovane, Ulisse, Finnegans wake del narratore irlandese James Joyce sono tre romanzi strutturalmente e stilisticamente molto diversi e tuttavia Joyce è sempre Joyce. Un discorso analogo si può fare per il maestro cinematografico svedese Ingmar Bergman: lo stile austero e intimista di Sussurri e grida o di Scene da un matrimonio ha una temperatura ben diversa dalla sfarzosa espressività di film come Il settimo sigillo o Il posto delle fragole, ma Bergman è sempre bergmaniano.
Romanzieri come Flaubert o come Joyce non avrebbero vita facile nell’industria culturale odierna, la quale sembra prediligere scrittori dal marchio di fabbrica immediatamente riconoscibile. Il mercato letterario premia la standardizzazione e la serialità. Il cinema è più tollerante, consente ai registi di fare film di generi diversi e idolatra il virtuosismo citazionista di Quentin Tarantino, che gioca con gli stili come uno scapestrato funambolo.
Per Gustave Flaubert l’ossessione dello stile non era un gioco estetico o un capriccio espressivo: era una esigenza spirituale, una sacra fame di esattezza.

 

 

 

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