IL CANTO CUPO E SORDO DI DOMENICO TRISCHITTA,

ALLA MANIERA DEL SUO MAESTRO SGALAMBRO

 

 

 

 

 

Huffington Post - 25 settembre 2021

 

Domenico Trischitta la vede nera. Scruta la vita con uno sguardo disingannato quanto quello del suo maestro filosofico Manlio Sgalambro. Vede nera anche Catania, la città di cui è irresistibile cantore: «La città forse meno latina del mondo, o almeno ai margini di quella latinità che di poco ha bisogno per diventare Africa».
La città nera è il titolo del romanzo che Algra Editore ha appena pubblicato. Si tratta della prima prova narrativa di Trischitta, rimasta nel cassetto per più di trent’anni. Protagonisti sono alcuni disadattati che gravitano intorno a quel che resta del vecchio quartiere catanese San Berillo, crocevia di prostitute, di spacciatori, di perdigiorno, dei primi migranti. Trischitta si fa empatico cronista di quella disgraziata umanità: un giovane catanese senza arte né parte, un senegalese, una prostituta brasiliana. Sullo sfondo la funerea euforia degli anni ottanta.
La cifra del romanzo è il movimento: i personaggi viaggiano, l’io narrante entra ed esce dal racconto, la stessa realtà sembra sfuggente. Trischitta non ha messaggi consolatori da trasmettere, non ha una morale con cui indorare le pagine. I personaggi si sfiorano senza interagire davvero (apparentemente) e il lirismo crudo del narratore non vuole riscattare le loro vite prive di sbocco.
Il narrare senza sbocco di Trischitta è puro canto: «Iniziammo i viaggi per l’Italia, per l’Europa, a farci la barba in compagnia della radio. Le ragazze si accorgevano di noi e di come i nostri corpi fluidi si dileguavano al tramonto tra movimenti veloci, nei lungomari. […] Avevamo i capelli lunghi, poi corti. Adesso ne abbiamo pochi. Guardo i tuoi occhi, che intanto vagano lontani, hanno la stessa luce che bruciò il grande gelso».
Oltre all’inedito La città nera Algra manda in libreria una nuova edizione del romanzo più celebre di Trischitta, Una raggiante Catania. Nella sua penetrante postfazione il critico Tommaso Labranca accosta lo stile dello scrittore alla musica rock: «Ma non per certi banali trucchetti usati in tanti piccoli e dimenticati romanzi degli anni Novanta, ammiccanti a un giovanilismo di maniera in cui gli editor ribattezzavano tracks i capitoli e credits i ringraziamenti. Il parallelo è molto più profondo. Trischitta narra con i tempi e i metodi dei migliori concept album del rock». Il canto di Trischitta suona cupo e sordo, un canto quasi senza musica.

 

 

 

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