L'ANTICA LEZIONE DANTESCA

 

 

 

 

 

Huffington Post - 3 aprile 2021

 

Ci sono alcuni politici italiani, un critico tedesco e il monumento di un poeta fiorentino… no, non voglio raccontarvi una di quelle barzellette che circolavano quando ero bambino, ma intervenire nella polemica culturale del momento. Alcuni eminenti politici italiani hanno ritenuto lesivo della nostra dignità nazionale un articolo di Arno Widmann, che sul quotidiano Frankfurter Rundschau ha messo a confronto Dante Alighieri e William Shakespeare, simpatizzando per il drammaturgo inglese. Questa attenzione verso il dibattito culturale da parte della nostra classe politica sarebbe lodevole, se non fosse che nel secolo scorso gli sconfinamenti della politica nel campo della cultura hanno prodotto disastri.

Roberto Saviano sul Corriere della Sera ha preso le difese del critico tedesco. Per dimostrare la legittimità delle opinioni di Arno Widmann, lo scrittore napoletano finisce per depotenziare la deliziosa impertinenza di quell’articolo. Scrive Saviano: «L’idea di cultura, di sapere, di conoscenza che dobbiamo portare avanti non è la gara tra chi ha il poeta più grande di tutti. Non è una gara! E certe grandezze non sono neppure misurabili».

A parte che tra gli arnesi della critica ci sono il metro e la bilancia, ma comparare e commisurare due geni artistici aiuta a comprendere le loro peculiarità. Basti pensare a quel capolavoro critico che è Filosofia della musica moderna di Theodor W. Adorno (di cui Arno Widmann fu allievo), nel quale vengono contrapposti i compositori Arnold Schönberg e Igor Stravinskij.

Come il cantautore Antonello Venditti, non so se Dante fosse un uomo libero, un fallito o un servo di partito, eppure concordo con Arno Widmann nel ritenere Shakespeare più moderno di Dante: «L’amoralità in senso filosofico di Shakespeare, la sua raffigurazione di ciò che è – anche queste tutte fantasie del poeta! –, ci sembrano anni luce più moderne dello sforzo di Dante di avere un’opinione su tutto, di sottoporre tutto al giudizio della sua morale. La sua opera monumentale serve solo a consentire al poeta di anticipare il Giudizio Universale, di fare il lavoro di Dio e di dividere i buoni dai cattivi».

La modernità di Shakespeare l’ho avvertita per esempio a Verona, visitando il cosiddetto balcone di Giulietta. I veronesi, cittadini laboriosi e scaltri, hanno costruito un ridicolo balcone accalappiaturisti che materializza la fantasia del drammaturgo. Una baracconata che ha tuttavia qualcosa di scespiriano, giacché le opere del Bardo sono sublimi ma anche ruffiane, sofisticate e al tempo stesso barbariche.

I fiorentini non avrebbero mai osato un’operazione simile: la Commedia incute soggezione e rispetto. Il poema dantesco è una cattedrale perfettamente proporzionata, in essa i diversi registri espressivi risultano dosati con mano sapiente, i suoi versi profumano di rigore estetico e di serietà morale. La Commedia ha qualcosa di tedesco.

Caro Arno Widmann, la modernità è il nostro destino e la sua ambiguità morale è fertile, ma non è priva di una certa cialtroneria: per forgiare la nuova cultura del duemila, forse conviene tenere conto anche dell’antica lezione dantesca.

 

 

 

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