LA SCELTA DI RESTARE IN PROVINCIA

 

 

 

 

 

La Sicilia - 23 novembre 2005

 

Pubblicato con varianti e con il titolo "La provincia inquieta" nel libro "Fine di una giornata" (La Cantinella - 2008)

 

Pubblicato con varianti e con il titolo "La provincia inquieta" nel libro "Letteratitudine - Il libro (Vol. II, 2008-11)" (Historica - 2012) 

 

Sebastiano Addamo mi accoglieva con uno dei suoi sorrisi cordiali ma cauti. Di lui avevo letto quasi tutto e non facevo fatica a identificare in quell’uomo minuto e provato da un brutto male, l’artefice delle pagine che avevo amato. Nel suo caso la distanza tra l’uomo e l’opera era minima. Era la metà degli anni novanta.

A Catania Addamo era nato nel 1925, ma vi si era trasferito da pochi anni. L’infanzia e l’adolescenza le aveva trascorse a Carlentini, in provincia di Siracusa. Dopo aver insegnato per tanti anni filosofia al liceo, “per non avere più un preside” era diventato preside a sua volta.

Pur vivendo in provincia e avendo scelto la provincia come punto di osservazione del mondo, in Addamo non c’era niente di provinciale. Del resto, per lui la provincia non era stata un destino da scontare. Quando negli anni settanta Livio Garzanti gli propose di trasferirsi a Milano per lavorare nella sua casa editrice, Addamo scelse di restare a Lentini, preferì continuare a fare il preside. Temeva, abbandonando la provincia e la sua piccola borghesia, di perdere una delle principali fonti d’ispirazione.

Amante della sintesi e delle forme brevi, nei suoi versi ha cantato il malumore, l’amarezza, il furore di chi anelando a una qualche forma di chiarezza, finisce per trovare solo verità negative. Anche le sue pagine narrative sono attraversate dai risentimenti dell’uomo di fine novecento, spaesato negli scenari della tarda modernità. Per i propri personaggi Addamo sembra non vedere speranze, li reputa condannati a un destino di solitudine e di nichilismo. Eppure alcune delle pagine più incantevoli e piene di incanto della letteratura contemporanea le ha scritte lui, quelle venate di nostalgia per la provincia che fu, raccolte in Le abitudini e l’assenza.

Addamo non era un uomo dal carattere facile. Polemico, severo, pretendeva dagli altri il rigore che imponeva a se stesso. Superata però l’iniziale diffidenza, diventava un conversatore appassionato. Io ero poco più che un adolescente e ascoltavo affascinato i suoi giudizi e i suoi aneddoti intorno a mezzo secolo di cultura letteraria siciliana. Mi parlava della sua ammirazione giovanile per Elio Vittorini e degli incontri palermitani con Leonardo Sciascia, delle liti furibonde con il poeta Bartolo Cattafi e del suo dispiacere per la fine della cinquantennale amicizia col filosofo Manlio Sgalambro.

Amava ripetere che alla professione letteraria aveva sempre anteposto i doveri familiari. “Tra l’acquistare un libro o delle scarpe nuove per mia figlia, non ho mai avuto dubbi”.

 

 

 

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