PUPI AVATI HA LO SGUARDO FANCIULLESCO DI PASCOLI,

MA INCONTRA LA DIFFIDENZA DELLA "GENTE CHE PIACE"

 

  

 

 

 

Huffington Post - 24 ottobre 2020

 

«Oh! Valentino vestito di nuovo, / come le brocche dei biancospini! / Solo, ai piedini provati dal rovo / porti la pelle de’tuoi piedini»: quante attese dell’autobus ho ingannato rimemorando i versi di Giovanni Pascoli. Salito a bordo, osservando Roma dal finestrino, ecco cantare nella memoria le galline pascoliane: «Un cocco! / ecco ecco un cocco un cocco per te!».
Pascoli rimase imbottigliato per lungo tempo nei ricordi scolastici degli italiani, i suoi ottocenteschi impeccabili versi riaffioravano ogni tanto nella memoria di qualcuno, ma non interrogavano l’anima di nessuno. Un poeta imbalsamato, di fatto neutralizzato.

Finalmente, nel 1985, un libro giunse a rimescolare le carte: Poesie famigliari a cura di Cesare Garboli. Il critico s’inventò un Pascoli diverso: ambiguo, morboso, novecentesco. Pagine filologicamente straordinarie, opinabili nell’appiattire il mistero poetico alla drammatica vita dell’autore, ma non arbitrarie. Le ha ristampate Quodlibet con il titolo definitivo Trenta poesie famigliari di Giovanni Pascoli e con un saggio introduttivo di Emanuele Trevi.

Rileggendo il libro ho pensato al cinema di Pupi Avati. Con Pascoli il regista ha in comune diverse cose: lo sguardo fanciullesco, l’amore per la provincia, il gusto per il bozzetto che sa rivelare. Ma se Pascoli fu presto innalzato agli altari, Pupi Avati incontra invece diffidenza, non piace alla gente che piace. Hanno assegnato leoni e volpi a cani e gatti, a lui giusto qualche coppa del nonno.

Temo che la cultura italiana abbia preso Pupi Avati sotto gamba: si tratta di un autore con una visione del mondo e con uno stile riconoscibilissimi. Un poeta delle piccole cose, un narratore pieno di grazia, un avversario di tutte le mode. Un cattolico inquieto, uno studioso del male, un favolista attratto dal lato morboso delle cose: talvolta si inibisce e manca il risultato (Zeder, L’arcano incantatore), ma quando ha il coraggio di affondare davvero la mano nell’oscurità, sa trarne film agghiaccianti come La casa dalle finestre che ridono o il recente Il signor Diavolo.
Il regista meriterebbe un suo Cesare Garboli: un esegeta che sappia illuminarlo con una luce diversa, regalandoci un Pupi Avati vestito di nuovo.

 

 

 

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