PUPI AVATI, PIPPO BAUDO E L'ARTE DEMOCRISTIANA

 

 

 

 

 

Huffington Post - 15 febbraio 2021

 

Pupi Avati è un uomo di parrocchia ma per sua sfortuna frequenta la parrocchia sbagliata. Crede al buon Dio e al signor Diavolo, non crede alle magnifiche sorti del progresso. Nella cultura italiana egemonizzata dalla sinistra, qualcuno di tanto in tanto la butta là: cinema democristiano. Per sminuirlo, non per definirlo. A me interessano poco le preferenze elettorali del regista emiliano, mi interessa la sua poesia.
Partito politico genuinamente popolare, la Democrazia Cristiana governò l’Italia per mezzo novecento, ma non favorì un’arte di regime che ne propagandasse l’ideologia o ne immortalasse le gesta a futura memoria. I democristiani amavano la concretezza: mentre gli artisti di sinistra si divertivano a contestare il sistema borghese, loro costruivano case, scuole, ospedali. E si concentravano sull’arma più forte, la televisione.
Alcuni anni fa ebbi il piacere di pranzare con un vecchio critico cinematografico democristiano che nella prima repubblica era stato potente. Mentre con sincero entusiasmo lodavo i meriti politici del suo amico Amintore Fanfani, lui annuiva cautamente, tra noi due il democristiano sembravo io. Io cresciuto a pane, Adorno e Schopenhauer. Ho esatta memoria della cortesia guardinga di quel gentiluomo: forse sospettava che lo canzonassi, forse mi prendeva le misure.
Essere democristiani non significa credere in determinate idee, significa vivere in un determinato modo. Penso a Pippo Baudo, artista del piccolo schermo. Il presentatore siciliano non avverte il bisogno di ribadire ogni dieci minuti il proprio credo politico per catechizzare i telespettatori: democristiana è la sua postura, democristiana la gestualità, democristiana la camminata. Democristiana è la sua intelligenza non ostentata, sempre un passo dietro all’intelligenza dell’interlocutore. Democristiano è il suo talento divulgativo, il suo parlare con rispetto di cose che i telespettatori non conoscono per sollecitarli a rispettare anche quello che non capiscono.
Democristiano problematico, Pupi Avati racconta per immagini il conflitto tra crudeltà e candore. La crudeltà di chi è schiavo delle brute passioni, il candore dei disadattati. Su tutti i personaggi, in un cielo di carta da zucchero, aleggiano angeli che la pellicola non riesce a filmare. Il cinema di Pupi Avati è senza tempo. Refrattari alle mode e alle tendenze, i suoi film erano già vecchi prima che uscissero nelle sale. Ecco il prodigio: oggi il cinema è moribondo e invece quei film nati morti resuscitano come i cadaveri di Zeder e risplendono della loro garbata classicità.
Purtroppo nessun prodigio resusciterà la cara vecchia Democrazia Cristiana.

 

 

 

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