SCIASCIA, DEBENEDETTI E IL CINEMA COME DESTINO

 

 

 

 

 

Huffington Post - 13 marzo 2021

 

Di Leonardo Sciascia risulterebbero interessanti anche i promemoria per fare la spesa al mercato. Lo testimonia «Questo non è un racconto». Scritti per il cinema e sul cinema, volume che Paolo Squillacioti ha curato per Adelphi raccogliendo articoli sparsi e soggetti per film mai realizzati. Il soggetto migliore mi sembra quello per Carlo Lizzani, storia di una donna che manda alla sbarra i mafiosi che gli hanno ammazzato il marito. Un’idea giusta anche per Francis Ford Coppola.

Leggendo il libro si scopre che Sciascia, dopo avere amato intensamente il cinema, approda a un comprensibile disincanto. I film davvero artistici sono merce rara, spesso sono merce e basta, così in età matura lo scrittore si limita a vedere le pellicole di Federico Fellini e quelle tratte dalle sue opere letterarie.
Todo modo, capolavoro romanzesco di Sciascia, comincia così: «“A somiglianza di una celebre definizione che fa dell’universo kantiano una catena di causalità sospesa a un atto di libertà, si potrebbe” - dice il maggior critico italiano dei nostri anni - “riassumere l’universo pirandelliano come un diuturno servaggio in un mondo senza musica, sospeso ad una infinita possibilità musicale: all’intatta e appagata musica dell’uomo solo”». Il maggior critico letterario è Giacomo Debenedetti, le parole citate da Sciascia sono tratte dallo scritto «Una giornata» di Pirandello, raccolto nella seconda serie dei Saggi critici.
Sciascia ammirava il critico piemontese, dunque nel libro adelphiano ho trovato divertente la sua sbrigativa liquidazione del Debenedetti critico cinematografico. Secondo Debenedetti, autore di un film non va considerato necessariamente il suo regista, ma la figura che alla pellicola - opera collettiva - ha dato il contributo più significativo: può essere il regista o l’attore protagonista o lo sceneggiatore o il produttore… ScriveSciascia: «Teoria, è evidente, piuttosto peregrina». A me il metodo critico debenedettiano non sembra affatto peregrino e consiglio vivamente il volume Cinema: il destino di raccontare, pubblicato da La nave di Teseo a cura di Orio Caldiron.
Negli anni sessanta, in Francia, i critici e i registi della Nouvelle Vague ebbero il merito di imporre la figura dell’autore cinematografico (chi sa fare dei film che esprimono una visione del mondo e una visione del cinema), rivendicandone lo status anche per alcuni grandi registi inseriti nel sistema industriale hollywoodiano. Ma la successiva trasformazione dell’eccezione in regola, ha innescato una guerra contro il buonsenso, per cui oggigiorno tutti i registi vogliono essere considerati autori.
Io parteggio per Giacomo Debenedetti. Siamo sicuri sicuri che Daniele Luchetti o Francesca Archibugi possano essere considerati degli autori cinematografici? Davvero Harry Potter e il prigioniero di Azkaban e Roma, entrambi firmati dal bravo Alfonso Cuarón, sviluppano un univoco discorso espressivo?

 

    

 

  

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