SOBRIETA'. SOAVITA'. CLASSE. VIVA ORIETTA BERTI!

 

 

 

 

 

Huffington Post - 4 marzo 2021

 

La seconda serata del Festival di Sanremo ha proposto un’altra infornata di rapper e trapper in erba. Questi ragazzi si prendono molto sul serio, si pavoneggiano in scena come se fossero gli inventori del pentagramma. Troppo autotune e poca autoironia.
Personalmente prediligo le canzoni di robusta tessitura melodica, per esempio non ammiro particolarmente il cantautore Francesco Guccini, per certi aspetti antesignano di alcuni di questi ragazzi. Tuttavia i testi di Guccini hanno una forza espressiva indiscutibile e si riallacciano alla grande tradizione poetica europea: «Ma il tempo, il tempo chi me lo rende? Chi mi dà indietro quelle stagioni / di vetro e sabbia, chi mi riprende la rabbia e il gesto, donne e canzoni, / gli amici persi, i libri mangiati, la gioia piana degli appetiti, / l’arsura sana degli assetati, la fede cieca in poveri miti?» (dal 1996 la canzone Lettera non smette di farmi vibrare).
Ecco invece cosa canta Willie Peyote nella sua Mai dire mai (La locura): «C’è il coatto che parla alla pancia ma l’intellettuale è più snob / In base al tuo pubblico scegliti un bel personaggio, l’Italia è una grande sit-com / Sta roba che cinque anni fa era già vecchia ora sembra avanguardia e la chiamano It-pop / Le major ti fanno un contratto se azzecchi il balletto e fai boom su Tik-tok».
Tra i giovani mi è simpatico Achille Lauro, ospite fisso del festival: possiede il senso dello spettacolo ed estremizza il proprio personaggio fin quasi ad autodissolverlo. Il suo maledettismo ruspante mi ricorda la giovane Anna Oxa: Sanremo purissimo.
A salvare il baraccone ci ha pensato Orietta Berti, che ha onorato il festival con una canzone all’antica italiana ben scritta, ben orchestrata, ben interpretata. Sobrietà. Soavità. Classe.
Mi dispiace che di Orietta Berti e degli altri cantanti da Sanremo (graditi ospiti ieri Marcella Bella, Gigliola Cinquetti, Fausto Leali) si parli spesso con sufficienza. Al Bano o Toto Cutugno non sono Johann Sebastian Bach, le loro canzoni oggi risultano fuori moda, ma meritano rispetto perché non pretendono di essere più di quello che sono. In attesa della musica leggera del futuro, frastornato dal chiassoso presente, in questa settimana sanremese mi inchino alla tradizione. Viva Orietta!

 

 

 

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