PER UN TEATRO MINIMO

 

 

  

 

 

Intervento al convegno "Per un'idea politica del teatro in Italia - La scrittura teatrale in tempo di crisi" - 7 novembre 2013

 

Pubblicato con il titolo "Il teatro minimo" nel numero di settembre / ottobre 2014 della rivista Ridotto

 

In Italia esiste una tradizione di teatro minimo, dalle sintesi futuriste alle Tragedie in due battute di Achille Campanile, fino allo spettacolo La confessione ideato da Walter Manfrè. È tuttavia in questi anni che il corto teatrale diventa ambizioso, che prova a spostarsi dalla periferia dell'esperimento al cuore della produzione drammaturgica contemporanea.

 


Con la crisi finanziaria delle istituzioni culturali pubbliche, con la moltiplicazione delle scuole di recitazione e dei relativi saggi, il corto teatrale trova la sua necessità storica: esso offre a tanti soggetti, con facilità, l'occasione di misurarsi col palcoscenico. Festival, rassegne, vetrine proliferano dal nord al sud del paese. I drammaturghi stanno accettando la sfida: Shakespeare teneva in gran conto le esigenze commerciali della compagnia di cui era anche l'impresario; larga parte dei nostri colleghi del passato scriveva al servizio del cosiddetto teatro dei ruoli; noi, oggi, scriviamo anche corti teatrali.

 


Il corto teatrale è una forma moderna. Della modernità ha lo stigma e numerose cifre.
Innanzitutto si tratta di una sperimentazione sulla durata, sfidando le convenzioni temporali dello spettatore. Come un ladro di passo il corto teatrale colpisce alle spalle, annunciando non attesa la propria fine.
Si tratta poi di un'arte quintessenziale: non è questione di puntare al massimo risultato col minimo sforzo, ma di provare a dire - nel giro di poche battute - tutto. Come i racconti di Borges sintetizzano monumentali romanzi immaginari, così il teatro minimo vive della convinzione che sia possibile rappresentare in qualche minuto la commedia del mondo.
Moderna è anche la “sospensione” - congeniale al corto per destino. Trattandosi di un frammento teatrale, di una scaglia di specchio precipitata sul palcoscenico, a livello drammaturgico il corto allude e magari avvince, ma non può e non vuole mai sciogliere davvero.

 


Che si sviluppi in forma di dialogo oppure di soliloquio, il teatro breve ama il simbolo e l'icasticità: ama tutto quello che può aiutare a trascendere la propria ontologica precarietà.

 


Si profila il rischio che il teatro minimo diventi nemico della libertà drammaturgica, ovvero della possibilità di dispiegare l'azione sulla lunga durata, utilizzando una moltitudine di personaggi. La paura che il teatro si riduca a un breve bozzetto domestico tra marito e moglie – a causa dei limiti di tempo, di attori, di fondi – non è infondata. Bisogna battersi affinché la forma nuova non soppianti l'altra, affinché la forma nuova sia solo l'occasione di nuove libertà.

 


La drammaturgia breve ha un linguaggio ancora da codificare, si offre al nostro sguardo come una distesa sconfinata dove qualsiasi avventura è possibile. Ma ogni eden nasconde la sua insidia: l'eccesso di facilità può diventare una trappola. Bene ricordarsi sempre dei precetti dei maestri, bene complicarsi sempre – come insegnava Eduardo - la vita.

 

 

 

 

 

 

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